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18 Novembre 2020L’ultimo Oracolo chiude l’Era della Luna Rossa
Esce oggi il capitolo conclusivo della trilogia di Pietro Ferruzzi
Quattro chiacchiere con uno degli autori più anziani della
CE Idea Immagina di Essere Altro
Quando si parla di “L’era della luna rossa” si parla di un percorso in cui la parola chiave è crescita. Oggi, 6 novembre 2020, si conclude la prima trilogia in casa Idea, Immagina di Essere Altro, e si pone la parola fine alla prima tappa del percorso da scrittore di Pietro Ferruzzi. “L’ultimo oracolo” è infatti il capitolo conclusivo di tre libri, che insieme a “Il sigillo di Aetherea” e “Il ritorno dei Berserker”, vanno a comporre L’era della luna rossa.
LA TRILOGIA, LA CRESCITA E IL NUOVO PROGETTO
Pietro, domani esce il tuo ultimo romanzo, come ti senti? «È finita un’era! Nel vero senso della parola. È un progetto che è iniziato un po’ per caso. Il primo libro ha gettato le basi per il secondo e credevo fosse finita lì. Invece poi dopo non sono riuscito a staccarmi e ho dovuto fare un terzo capitolo. Questa volta, però, è definitivo, non ce ne saranno altri in futuro.» Sicuro? «Sicuro, sicuro! Anzi ho in mente un altro progetto che va oltre, completamente diverso, si allontana dal fantasy e staremo a vedere. Per la Luna Rossa ho dato quello che potevo dare.»
Che facciamo spoileriamo subito il nuovo progetto? «In realtà quando ho finito l’ultima riga del capitolo “l’ultimo oracolo” pensavo che per me fosse arrivato il momento di appendere la penna al chiodo. Ho pensato di dire “Basta”. Primo perché altrimenti mia moglie chiede il divorzio. Scrivere prende molto tempo, di solito scrivo la sera e il sabato e la domenica. Secondo perché ogni libro è associato a un figlio e quindi il quarto bimbo penso non sia sostenibile in alcun modo. Per questo ho pensato di dire basta. Poi non so, dal giorno alla notte mi è venuta un’idea, un progetto nuovo. È un thriller, ambientato a Firenze durante gli anni in cui io ho fatto ricerca. Non è un autobiografico ma ci sarà molto di quello che ho fatto ai tempi dell’università.»
Come mai questo cambio di rotta? «Ho sempre avuto l’idea di scrivere un thriller. Perché mi ha sempre incuriosito intrecciare varie situazioni per poi portare il lettore ad avere il massimo pathos possibile per arrivare alla rivelazione finale. Anche nei miei fantasy ho cercato di mettere qualche colpo di scena più o meno riuscito. Quindi certo il fantasy ti aiuta perché sei tu che crei il mondo e i personaggi, le leggi che governano il mondo e la magia. Mentre quando scrivi ambientandoti nel mondo contemporaneo, devi stare attento, devi avere basi abbastanza solide. Quindi devo mettermi a studiare, perché son tanti anni che non faccio più ricerca.» Possiamo svelare il campo scientifico di riferimento o è troppo presto? «Il campo è la ricerca anti tumorale.»
Andiamo dall’epic fantasy al thriller, cambiamo completamente! «Si esatto. Esco dalla mia confort zone e andiamo in un campo a me completamente ignoto e oscuro, dove dovrò fare tanta ricerca, soprattutto sulla biologia. L’argomento l’ho studiato e quindi dovrò essere ancora preparato. Potrò inventare poco. Ci sarà una base scientifica di fondo, molto più romanzata. Una cosa alla Glenn Cooper.»
Perché allora l’esordio è stato un fantasy e non il thriller? «Sostanzialmente, non ero ancora pronto. Concluso il terzo romanzo, penso di aver fatto qualche passo in avanti. Sono cresciuto tanto grazie anche all’aiuto di Claudia e di tutto lo staff Idea. Ho imparato come funziona un editing, una correzione di bozze, come migliorare il prodotto grezzo e renderlo scorrevole e godibile dall’inizio alla fine. Si vede tantissimo questo percorso dal primo all’ultimo libro. È cambiato tutto: è cambiato lo stile, è cambiato il punto di vista, è cambiata la tecnica. Il mio modo, la mia impronta digitale rimane, quello è il mio stile, però si è evoluto tanto. Questo l’ho visto io, ma me l’hanno fatto vedere anche i lettori. Ora speriamo che con il terzo questa sensazione venga confermata e riconosciuta. C’è stato un gran lavoro dietro, che sul primo libro non avevo potuto fare perché mi mancavano le competenze. Il fantasy è il genere che prediligo come lettore, ho più conoscenza e cultura, mi sento più ferrato. È la mia confort zone, iniziare da li mi ha aiutato.»
Parliamo dell’”era della luna rossa”, quando hai iniziato a scrivere questa trilogia e perché? «Questa è una domanda a cui sono molto emotivamente attaccato perché “il sigillo di Aetherea” è nato quando mia moglie era incinta di Niccolò il primogenito. Ho sempre sognato di mettere nero su bianco le mille idee che avevo in testa, ma non ho mai avuto né la concentrazione, né il tempo, né la voglia di mettermi a tavolino e fare le cose per bene. Avevo altre priorità dal gruppo allo sport. Quando invece mi sono sposato e mia moglie è rimasta incinta, a lavoro c’erano problemi, avevo tempo libero. Mi sono messo lì e ho scritto un racconto con l’intento di lasciare qualcosa di me a questo bambino (Niccolò, il primogenito di tre, ndr) quando sarà più grande, qualche consiglio. Una sorta di guida. Da lì le 20 pagine si sono trasformate in un romanzo scritto in 6 mesi senza mai fermarmi e da lì ho scoperto che lo potevo fare e c’ho preso gusto.»
Ogni libro un figlio. «Si la storia è questa. Mentre il primo libro si è scritto da solo, mi venivano in mente idee per il secondo. Ho lasciato dei buchi nella trama che pensavo di sviluppare dopo, in caso non lo avessi fatto, il primo romanzo sarebbe diventato un autoconclusivo. Mentre stavo cercando di pubblicare il primo nel 2016, avevo iniziato a scrivere il secondo, ma non riuscivo ad andare avanti molto bene. Ero bloccato. Stavo perdendo il lavoro, stava fallendo l’azienda in cui lavoravo, era un momento particolare. Quando mia moglie è rimasta incinta di Matilde (la secondogenita, ndr), è scattato un interruttore in me. È come se mi fossi sfogato, come se non volessi pensare a quello a cui stavo andando incontro e mi sono buttato sulla scrittura. Diversamente dal primo avevo già tutto in mente e l’arrivo di Matilde è stata la musa ispiratrice. Il terzo libro era lì che non voleva proprio decollare, infatti “il ritorno dei Berserker” l’ho finito di scrivere a gennaio 2016 e poi è stato pubblicato ad agosto 2017, mentre “l’ultimo oracolo” viene fuori a novembre 2020. Sono passati 3 anni. I primi due anni avrò scritto 10 pagine all’anno. Non riuscivo a collegare le idee e metterle insieme. Quando Elisabetta è rimasta incinta di Adelaide (l’ultimo arrivo, ndr) mi si è aperto un mondo e ho iniziato a scrivere. Ho riscritto tutto il libro e poi grazie all’editing ho buttato anche le prime 30 pagine scritte negli anni precedenti perché non erano legate al resto del libro. Come vedi questa saga ha una bella storia.»
Quando parli, si sente il trasporto emotivo. «Che è presente anche nei libri. Dentro questi romanzi c’è tanto di me stesso, tante esperienze vissute, tanti messaggi che ho voluto lasciare ai lettori di speranza, di solidarietà. Non sono guide di comportamento ma proprio situazioni che mi sono capitate nella vita reale e che sono state trasportate in un mondo fantasy dove cerco di dare una chiave di lettura in grado di aiutare persone che si trovano nella stessa situazione nella vita di tutti i giorni.»
La saga nel suo insieme di cosa parla? Ci parli della trama e dei personaggi? «Tutto si svolge nelle terre di Oppas, un nome che significa speranza, dove dopo un lungo periodo ci si ritrova a convivere con delle razze che non si conoscevano. In particolare con elfi, nani e troll e anche goblin. Tutte le razze sono riviste in una versione un po’ più moderna, in modo da discostarli dallo stereotipo classico del troll cattivo e primitivo che usa solo la forza bruta o del goblin che è un animalaccio poco intelligente. Ho cercato di strutturare bene le razze dando un’identità precisa. I personaggi possono essere nobili, ladri…persone qualsiasi. Quello che ho cercato di evitare è stato quello di dare una figura dell’eroe in gradi di sconfiggere da solo tutti i nemici. Sono tutte persone che nonostante sia un fantasy cercano di essere più realistici possibili. Ho cercato di dare una parvenza di realtà. Come tutti i fantasy, ho cercato di seguire la scia classica quindi c’è un male oscuro che si risveglia per colpa di alcuni personaggi che avevano brame di potere e ciò li ha spinti ad azioni che hanno conseguenze. Non spoilero ma dico che alla fine del primo libro avremo un gruppo di ragazzini costretti a crescere troppo in fretta per via degli eventi, per combattere il male oscuro, tutto questo intrecciato ad altri filoni narrativi che confluiscono nella scena finale. Ci saranno intrighi battaglie, giochi di potere, tradimenti…»
Quando hai deposto la penna, c’è un personaggio che ti è dispiaciuto abbandonare? «Ti dirò di no! Sono soddisfatto di quello ce ho fatto. Andare avanti sarebbe stato solamente un cercare di sfruttare un qualcosa che non ha più nulla da dare. Si è conclusa una storia, va bene così. Sarebbe una forzatura continuarla o aggiungere altro. Ho esaurito la mia ispirazione. Non credo che farei di meglio nell’aggiungere qualcosa in più. Sono soddisfatto e contento! Un po’ di malinconia c’è, ma è bello cambiare.»
Alessandro Grillea è stato l’illustratore di tutte e tre le copertine dei tuoi libri. C’è stato un bel feeling anche con lui. «Non avevo idea di come fare la copertina. Io ho sempre proposto idee che mi ero fatto mentre scrivevo il romanzo. C’erano scene che mi sarebbe piaciuto vederle disegnate. Ne fosse stata fatta una, mai (ride mentre lo dice). Non so nemmeno se Ale ha letto tutti i libri o se ha selezionato alcune parti insieme a claudia di quelle che poteva rendere di più disegnate in cover. È un genio. Io dicevo una cosa, lui partiva da un’altra. Non ho mai avuto niente da ribattere, mi sono sempre trovato benissimo con le sue copertine. Lui pure è cresciuto molto dalla prima copertina che ha fatto, poi dopo il sigillo di Aetherea e poi “l’ultimo oracolo” si è superato.»
IL RAPPORTO CON LA CASA EDITRICE: UNA FAMIGLIA
Ti sei fatto conoscere con una pubblicazione in un’altra casa editrice e poi sei arrivato a Idea. «Ho pubblicato il primo libro con Campanila, una casa editrice pisana. Sono stati bravi, c’è stato l’editing, la copertina, è una CE piccola e free. Però non la pensavamo allo stesso modo. Non mi sentivo coccolato abbastanza, avevo bisogno di un rapporto più umano, cosa che avevo stabilito con Claudia (Cintio, ndr)e Marko (D’Abbruzzi, ndr) e con Idea, appena nata – parliamo del 2016 quando Pietro ha conosciuto il nucleo centrale operativo e direttivo della neonata CE – La storia di come ci siamo conosciuti è anche bella, perché ci siamo scambiati i libri da lettori sui social. A loro è piaciuto molto “il sigillo di Aetherea”, a me è piaciuto molto il lavoro che hanno fatto sui loro romanzi. Al che ho fatto di tutto per scindere il contratto con la Campanila, perché avevo già finito di scrivere il secondo volume e volevo pubblicarlo con Idea, che però voleva l’esclusiva su tutta la saga.»
Questo è il terzo libro di una trilogia e tu sei il terzo autore della CE arruolato 3 anni fa, come 3 sono anche i tuoi figli, curioso questo numero ridondante no? «Si, il contratto lo abbiamo firmato nel 2017 all’incirca, data di “Il ritorno dei Berserker”. All’inizio avevo il contratto di Aetherea con Campanila, lo avevo iniziato pubblicandolo in self e infatti su Amazon ci sono l’ebook in self e il cartaceo pubblicato con Idea. Questo perché avevo fatto con Claudia tutta la parte di editing e della copertina perché pensavo che non avrei mai chiuso bene con la CE Campanile. Invece no e alla fine ho fatto il passaggio con Idea.»
Come ti trovi con Idea a livello professionale? La CE sta crescendo molto, ai nuovi autori che vogliono approdare con Idea cosa consigli? «Da una parte mi sento di consigliarla, io la chiamo “famiglia Idea”, mi sono trovato benissimo per me è una famiglia. Perché ci sono dei rapporti umani che vanno oltre i rapporti professionali. Siamo amici, siamo riusciti a vederci anche extra eventi. C’è un bellissimo rapporto nato da questa collaborazione. Dall’altra mi sento un fratello maggiore che si vede arrivare tutti fratellini, uno dopo l’altro, e sono geloso perché ho paura di non essere più coccolato come prima. Devo dire che finora questa situazione non è mai successa. Nonostante tutto, Claudia mi sta sempre addosso e anzi temo che se scrivo il quarto libro, lo devo principalmente a loro perché mi hanno esortato a non smettere, visto che ho imparato tantissimo, non devo fermarmi. Devo dire che si può parlare solo bene di loro. Sia a livello umano che professionale, sono attenti, è puntuali, corretti, sono caratteristiche rare in questo mondo di lupi e di squali. Idea non ti dà la visibilità di una grossa casa editrice perché non ha i mezzi, ma non ha niente da invidiare rispetto a tutte le altre.»
Questa è una buona giustificazione per evitare il divorzio? «Eh devo dire che per evitarlo devo scrivere nei momenti di quiete in casa. Quando i figli sono a letto, casa è in ordine. È un po’ come quando esci la sera, la moglie ti dice “mi raccomando non bere troppo” e il giorno dopo ti svegli e sei uno straccio, ma devi essere brillante perché sennò so mazzate. Bisogna trovare il giusto compromesso tra la famiglia numerosa, perché anche la moglie ha bisogno delle attenzioni dovute, e il libro perché una volta che parti a scrivere ha bisogno di attenzioni. Oltre alle 8 ore di lavoro al giorno, la testa è un continuo pensare.»
Essere scrittore, essere papà, marito e professionista, come concili tutto? «Io faccio un lavoro che mi impegna dal lunedì al venerdì 8/10 ore al giorno, a volte la sera, ma mi dà abbastanza flessibilità. Un lavoro che mi assorbe completamente. Io sono un clinical trial manager, mi occupo di sperimentazioni cliniche sull’uomo, di vaccini che vengono sviluppati sulle malattie del terzo mondo. Grosse case farmaceutiche non si interessano per investirci troppo, perché sono costi cospicui, noi lavoriamo sul global health. Portiamo avanti i vaccini su progetti finanziati da eventi benefici per istituzioni europee. È un bellissimo lavoro che dà tante soddisfazioni e ti fa sentire coinvolto al 100% per fare qualcosa di bello in questo mondo. A parte questo sono sempre stato un tipo molto eclettico e polivalente. Oltre alla famiglia, amici, fidanzate, c’è sempre stato lo sport e il lavoro/scuola/università. Queste cose le ho sempre fatte. Quella che oggi è la scrittura, prima era lo sport o il rap. Scrivevo testi e cantavo in un gruppo come freestyler. Non sono mai stato fermo ho sempre girato come una trottola. Tempi morti non ce ne sono stati mai. Questo mi permette di fare tante cose, ma non sono un multitasking. Quando faccio una cosa, la faccio al meglio.»
Con Idea avete fatto un Reading Circle, i lettori ti hanno tartassato, ma c’è un qualcosa che ti è rimasto impresso tra le domande? «È passato del tempo, più o meno sono anche le domande delle interviste. La storia di cosa mi ha portato a scrivere il primo libro è quella che racconto più che volentieri. Ha legami emotivi, ai figli, alle complicazioni del parto di Niccolò che ci ha fatto crescere tanto sia come persone che come coppia.»
C’è un messaggio in generale che vuoi trasmettere? Visto il periodo particolare che stiamo vivendo, cosa vorresti dire alle persone? «Il filo conduttore dell’ultimo libro ha un messaggio che si riassume in due parole: Stay Human, essere umani. Ora va di moda, ma quando ho iniziato a scrivere il libro non era così di tendenza. Quando ci sono queste situazioni di incertezza, quando la gente ha paura, quando c’è il panico, quando non ci si sente tutelati la gente si fa prendere dal panico, perdono il capo, e fa cose che normalmente non farebbe. Nei casi di emergenza si vede la natura di una persona. Quello che dico io è che nell’emergenza, bisognerebbe fermarsi a riflettere e non fare cose stupide, ma rimanere umani. Ne ho viste tante di situazioni nella vita in cui l’umanità spesso viene lasciata per strada.»
Il tuo libro preferito? «Non ho un libro preferito, ne ho tantissimi perché ognuno ti dà qualcosa. Ne ricordo due con affetto il primo è “La spada di Shannara” di Terry Brooks perché è il primo libro che mi ha avvicinato al fantasy, da piccolino e da lì non ho più smesso di leggerlo, nel primo libro ci son anche dei tributi. Il secondo è “Il paradiso degli orchi” di Daniel Pennac. L’ho letto alle medie quando il carattere non è forgiato, non sai se sei carne o pesce e nemmeno come difenderti o come convivere con gli altri. Sei abituato al tuo ambiente familiare, mentre alle medie interagisci con gli altri ragazzi senza il controllo dei genitori. Questo libro mi ha aiutato tantissimo all’approccio con gli altri. A essere meno permaloso, a prendermela meno. Il protagonista del romanzo, il Signor Malaussène, di lavoro faceva il capro espiatorio e questa cosa mi ha colpito troppo. In effetti se ci pensi quando hai una discussione se tu neghi l’evidenza o menti, anche se hai fatto una cazzata, conviene ammetterlo no!? A volte assumersi le proprie responsabilità comporta meno conseguenze di fare una furbata.»
Il libro che porteresti sempre con te? «Il mio! Perché almeno così continuerei a modificare all’infinito. Per questo non li rileggo una volta pubblicati. Penso che porterei “Il signore degli anelli”, almeno riuscirei a leggerlo con attenzione e memorizzare i mille mila nomi!»