Fatimah, una famiglia distrutta dal Covid
Un racconto tratto da una storia vera, che porta a una riflessione su cosa il Covid stia creando alla comunità.
§ Le vicende narrate in questo post sono una storia vera,
i nomi dei protagonisti sono stati cambiati
per il rispetto della privacy delle persone coinvolte. §

Fatimah, una famiglia distrutta dal Covid
Fatimah ha 13 anni ed è una ragazzina dolce e solare. Sempre un sorriso e una parola buona per tutti, proprio come la mamma. È italiana da parte di padre ed etiope da parte di madre. Articola discorsi come se fosse una donna di trent’anni, infatti spesso è difficile ricordarsi che ne ha solo tredici. Il papà Dario ha 82 anni. Una vita trascorsa a costruirsi una carriera e una pensione, sempre a combattere con una salute vacillante. Porta l’ossigeno e fa la dialisi a giorni alterni. È sposato da ben venticinque anni con Bri, una donna coriacea come solo le africane sanno essere.
Il Covid colpisce anche la loro famiglia. In poco tempo Dario è costretto a un ricovero ospedaliero. Un viaggio di sola andata. Pochi giorni dopo, anche Bri si infetta. Fatimah non sa cucinare e i vicini si adoperano per portarle i pasti. Addirittura le fanno compagnia al telefono. Bri peggiora velocemente e inizia un calvario di 48 ore prima del ricovero d’urgenza, dove verrà messa sotto casco d’ossigeno con le prospettive spaccate esattamente a metà: 50% di guarigione, 50% di morte. È venerdì sera. Fatimah è sola in casa e, dopo aver soccorso la madre, ha un unico pensiero: voler presenziare al funerale del papà. Cerca in tutti i modi di rimediare un tampone per convalidare o meno la sua positività e poter finalmente uscire da quella quarantena.
I condomini che l’aiutano però hanno paura. Hanno seguito la vicenda da dietro la porta di casa, ognuno nel proprio appartamento, terrorizzati che il virus possa colpire anche loro. L’audacia di Pina, inquilina del primo piano, la fa uscire poco dopo che Bri viene portata via dai paramedici. Spalanca le finestre dell’intera scala per tutti e otto i piani dello stabile, disinfetta con l’alcool ascensore e passamano. Fa appello a tutti i rimedi detti e stradetti da un anno a questa parte in attesa delle ditte di sanificazione competenti. Ovviamente i guai accadono sempre nel fine settimana.
Una zia di Fatimah si adopera per andare a casa della piccola, ma non può rimanere. I condomini insorgono: bisogna rispettare le regole, ne va della contaminazione di centinaia di persone. La paura, l’ansia e l’incertezza iniziano a prendere il sopravvento. Cos’accadrà nei prossimi giorni? La ragazza può uscire o no? E la zia? Se entra non può più uscire. Cosa facciamo noi condomini? Chiamiamo i carabinieri? Facciamo finta di niente? Ma il palazzo è pieno di persone anziane; se non interveniamo, rischiamo una strage. Ma se non prendiamo provvedimenti Fatimah rischia grosso. Cos’è giusto in questi casi?
La vicenda di Fatimah ci ha messo davanti a una realtà difficile. Il Covid ci ha reso impotenti. Gran parte della popolazione si prodiga per il prossimo. È propensa ad aiutare, a farsi in quattro per chi è in difficoltà senza chiedere nulla in cambio. Il Covid sta minando anche questa forma di umanità. Pone le persone davanti a scelte difficili come quella che i condomini del palazzo di Fatimah sta ponderando in questi giorni. Cosa è giusto e cosa no? È possibile essere ancora più individualisti? Una cosa è certa: la digitalizzazione ha resole persone schiave della tecnologia, ma il Covid ha accelerato ancora di più questo processo di individualizzazione che sta colpendo il genere umano. L’io è diventato troppo importante e il noi sta lentamente cedendo il passo alla

Fatimah, una famiglia distrutta dal Covid
solitudine delle quattro mura. Quando tutto sarà finito, non sarà possibile tornare alla vecchia vita, ne inizierà una nuova, ma sarà possibile invertire questo processo sociale? Si riuscirà mai a costruire una nuova comunità?
È lunedì. Fatimah è riuscita a fare il tampone che dichiarasse la sua negatività e si prepara per salutare un’ultima volta il papà. La chiesa è quasi vuota, ma Don Celestino è tecnologico e ha preparato anche una diretta live per i fedeli che non vogliono perdersi l’evento o per gli amici del povero Dario che non sanno come presenziare alla funzione, dato che Roma è nuovamente in lockdown.
Si tengono le dita incrociate per Bri, che lotta per la vita sotto il casco d’ossigeno, sperando che possa tornare a casa. Si prega anche per gli inquilini del palazzo, affinché non si ritrovino in una spirale di contagi e possano continuare a vivere la piccola comunità che coltivano giorno dopo giorno.