Rubrica: cosa leggo questa settimana?
30 Aprile 2021Rubrica: cosa leggo questa settimana?
7 Maggio 2021Quali sono i lavoratori che dovrebbero festeggiare
il primo maggio?
Viaggio attraverso le modifiche dello Statuto dei Lavoratori e
il professionista del nuovo millennio.
Ciao, mi chiamo Sara! Sono nel mondo del lavoro dal 2003, cioè da quando mi sono diplomata. In questi 18 anni ho svolto tanti, tantissimi lavori e spesso tutti diversi tra loro. Il più delle professioni erano in ambienti maschili: un’autista di NCC (Noleggio Con Conducente), un corriere Amazon … Oggi ho difficoltà a trovare lavoro perché sono una donna di 37 anni. Ogni volta che porto un curriculum mi vengono risposte le solite due frasi: “eh ma sei troppo grande” oppure “mi dispiace sei una donna”. Siamo nel 2021. Come è possibile che in questo momento storico, dove la parità tra uomo e donna è una delle battaglie in prima linea, si continui ad avere risposte di questo genere? Com’è possibile che le donne debbano ancora scegliere tra il fare figli e il lavorare? Dopo un anno di pandemia e il tasso di disoccupazione al 10,2%, un numero costituito per la maggior parte da donne, chi sono i professionisti occupati che quest’anno festeggiano la festa dei lavoratori?
Ma andiamo per gradi. Parliamo di come il lavoratore medio, dipendente da un CCNL classico (come quello del commercio), ha visto sgretolarsi i suoi diritti, facendo un po’ di storia.
LA STORIA DELLE MODIFICHE ALLO STATUTO DEI LAVORATORIÂ
Non voglio andare troppo in là con il tempo, parto dall’abolizione dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero una norma del 1970 che ha regolato i rapporti tra datore di lavoro e dipendente fino al 2012. L’articolo 18 recitava così: “Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l’invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all’art. 2121 del codice civile.” In moltissime occasioni i politici hanno tentato di modificare questa legge, senza successo data la protezione dei sindacati di allora.
Nel 2012 l’art.18 subisce modifiche e rientra nella riforma del lavoro Formero, governo Monti. Le trasformazioni rientrano in un piano chiamato Flexicurity un nome che fonde i vocaboli inglesi: flexibility e security, rappresentando un modello di stato sociale basato su una politica pro-attiva di gestione del mercato del lavoro. Il modello consiste di una combinazione di estrema facilità di assunzione e licenziamento per il datore di lavoro e consistenti ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti. Un sistema semplice e ben rodato sia in Europa che in America, implementato per la prima volta in Danimarca dal Primo Ministro socialdemocratico Poul Nyrup Rasmussen, negli anni ’90. Perché questo modello funzioni, devono coesistere 3 fattori: flessibilità del mercato del lavoro, sicurezza sociale e una politica attiva del mercato del lavoro con diritti e obblighi per i disoccupati. Tutte cose che in Italia non funzionano.
Nel 2014 viene definitivamente abrogato l’Articolo 18 in seguito alla promulgazione e attuazione del Jobs Act, Governo Renzi. Il Jobs Act fu adottato con l’intento di ridurre la disoccupazione creata dalla crisi economica e invogliare le imprese ad assumere. Una mossa copiata dagli americani sotto la presidenza di Barak Obama. Anche qui l’intento è nobile da parte di chi governa la penisola tricolore, ma non si tiene conto della mentalità imprenditoriale italiana volta allo sfruttamento dei lavoratori. In realtà il Jobs Act, che prevede un contratto di lavoro a tutele crescenti, svincolando per i primi 3 anni di stipula il datore di lavoro dal versamento di tasse allo Stato, ha regalato un triennio occupazionale a quei disoccupati in qualunque età da lavoro e di qualsiasi genere. Il problema è che scaduti i 3 anni, il contratto veniva recesso. All’azienda non servivi più. La formazione che è stata fatta sull’individuo non era sufficiente per garantire il proseguimento del rapporto lavorativo.
C’è stato un tempo in cui il mondo guardava l’Italia e copiava le sue riforme. Oggi è l’Italia che guarda il mondo e prende un pezzetto qui e un pezzetto lì, senza capire veramente che nel BelPaese certe cose non si possono effettuare per incompatibilità di normative preesistenti. Non solo! Ma anche per assenza di senso civico della popolazione e, cosa ancora più grave, assenza di responsabilità verso terzi e oggetti di proprietà comunale o statale.
Per questo motivo la riforma del lavoro è andata a peggiorare una popolazione di lavoratori già messi a dura prova dalla crisi economica iniziata intorno al 2010. In un momento dove bisognava fare sacrifici, unirci e spingere verso il bene comune per risollevarci e tornare a splendere, siamo stati capaci solamente di peggiorare la situazione e aggravare il peso sulle spalle dei cittadini. Tutto questo ha generato un malessere del lavoratore che si è sentito via via sminuito nella sua dignità e nella sua professionalità , tutto questo per mano degli imprenditori (piccoli, medi o grandi che siano). Il susseguirsi delle crisi di governo ha sgretolato velocemente, si parla di poco più di 10 anni, tutta la struttura benefica che avevano costruito i nostri nonni lottando per i diritti nel 1960/1970. Anche i sindacati oggi non tutelano più i lavoratori come una volta, ma svolgono attività solamente per i dipendenti statali. Per non parlare poi dei Centri per l’Impiego, strutture create per garantire il riciclo occupazionale ma che invece sono diventati una succursale gestita dalla pubblica amministrazione.
CHI È IL NUOVO LAVORATORE?Â
I cambiamenti del mondo del lavoro hanno modificato il lavoratore tipo. L’Italia è diventata una Nazione dove se sei un over 30 non hai più possibilità di lavorare. Le aziende non hanno la possibilità di assumerti con sgravi fiscali, pertanto sei un peso ancor prima di intraprendere il percorso in un’azienda. Accedere ai concorsi pubblici è un vero terno al lotto, sempre se hai le spinte giuste. Se sei una donna sei vista come l’incubatrice di un futuro individuo, quindi, secondo la mentalità imprenditoriale, non puoi lavorare. Per avere un colloquio devi mandare in media un centinaio di curriculum al giorno. Pregare che il tuo venga selezionato e arrivare ad un colloquio. Nascono piattaforme di recruiting tutti i giorni, ma non sono altro che un piano di rimbalzo da un algoritmo all’altro, proponendo sempre gli stessi annunci e sempre le stesse agenzie. Gli uomini over 30 si ritrovano a fare i driver, i corrieri da Amazon o per qualche altra ditta simile. Le donne scelgono tra le ditte di pulizie e i call center di recupero crediti. E poi c’è l’immancabile porta a porta che, anche sotto covid, non cessa la sua attività .
In una situazione simile, il lavoratore di oggi è in crisi prima con se stesso e poi con l’ambiente circostante. È un individuo depresso, spesso soggetto a crisi d’ansia o di panico. A livello sociale non vuole interazioni con nessuno. Per lui conta solo lavorare e portare a casa uno stipendio degno per sfamare una famiglia. Nel corso del tempo siamo passati dalle gratifiche per l’efficienza e la velocità di produttività , alle gratifiche per aver svolto il proprio lavoro in smartworking. Siamo passati dal dipendete tutelato, al lavoratore precario e depresso.
Il susseguirsi dei vari Governi non ha mai pensato ad un piano per i lavoratori di aziende private, di partite Iva, o di settori a rischio. Oggi un lavoratore si sente miracolato nell’accettare collaborazioni a chiamata, impieghi spesso a titolo gratuito, buste paga che fanno ridere perché i CCNL non sono aggiornati. Esiste un motto sulla bocca dei dirigenti privati: “suda e prima o poi i riconoscimenti arriveranno, fidati”. Ma terminato il periodo di prova, vieni messo alla porta con male parole e facendoti sentire ancora più non idoneo di come eri entrato. Poi avanti un altro, tanto c’è la fila per ricoprire il tuo posto. E il dipendente precedente va via frustrato e con una ferita nell’orgoglio e nella sua immagine che brucia come una mano su fiamma viva.
Questa è la catena che va spezzata. Il cittadino di qualsiasi genere e di qualsiasi età ha diritto al lavoro. Solo così potremmo tornare a festeggiare davvero i primo maggio e la festa dei lavoratori.