Last Minute – la recensione
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21 Gennaio 2020Tango del calcio di rigore
La recensione
Tango del calcio di rigore è un tributo alla storia. Non proprio quella che viene raccontata sempre e noiosamente sui libri, sui documentari, o che insegnano i professori. È quella storia con la S maiuscola che coniuga due ambienti complementari: lo sport e la politica.
Nella vita siamo tutti portieri e non sai mai dove vanno a tirarti il calcio di rigore.
Al Teatro Brancaccio fa tappa la nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova. Un palco scuro, caratterizzato dalle tonalità del nero. Arricchito con oggettistica cromaticamente pertinente e con un gioco di luci mobili che dona un tocco di classe e di raffinatezza. Il tutto supportato dai costumi dei cinque protagonisti: tailleur neri, con dettagli che richiamano qualche tono di rosso. Il tutto è elegante e raffinato. Tutto il contrario della storia che si racconta, che di elegante ha ben poco. La firma di Giorgio Gallione appartiene anche alla drammaturgia dello spettacolo, nonché da un cast di tutto rispetto. Una triade d’esperienza composta da Neri Marcorè, Ugo Dighero e Rosanna Naddeo, viene affiancata da un duo giovane Fabrizio Costella e Alessandro Pizzuto, generando così un cast di alto livello, dove anche i ragazzi giovani si amalgamano con una naturalezza incredibile.
Siamo alla finale mondiale Argentina-Olanda, del 1978, una gara caratterizzata da gioco violento e dal pubblico indisciplinato. Mentre si parla delle prodezze calcistiche, vengono dipinti gli orrori di quel tempo. Morte, tortura, desaparecidos, doping, corruzione. È il momento di maggiore popolarità e consenso della dittatura Videla, il generale Jorge Videla, che ha orchestrato il Mondiale come strumento di propaganda politica, affinché il mondo si dimentichi delle Madri di Plaza de Mayo. Così, mentre Nerì Marcorè è un quarantenne che cerca di ricostruire la sua memoria calcistica, lo spettatore viene rimpallato tra i toni giocosi e briosi delle cronache sportiva che fanno colore, ai toni drammatici di dittatura e olocausti, con racconti tristi e angosciosi, carichi del peso della storia che l’umanità ancora non ha imparato a gestire. Il calcio viene mostrato come quello che è la maggior parte delle volte, uno strumento politico nelle mani del potere per “legalizzare” fini illeciti e ignobili.
«Rivivono così in palcoscenico le vicende di personaggi imprevedibili – analizza il regista – ad esempio il figlio del cowboy Butch Cassidy, appassionato di Hegel e arbitro, pistole alla mano, di un surreale campionato mondiale giocato in Patagonia nel 1942. Sarà rievocata la “prima guerra del football”, sobillata ad arte dalle compagnie bananiere controllate dalla CIA e combattuta nel 1969 tra Salvador e Honduras. Rivivremo l’episodio del rigore più lungo della storia del calcio, di cui è stato protagonista suo malgrado Gato Diaz, anziano portiere dell’Estrella Polar. Scopriremo la storia di Francisco Valdes, capitano del Cile, costretto dai militari di Pinochet a segnare un gol in una porta vuota e senza alcun avversario in campo, e quella di Alvaro Ortega, arbitro colombiano che commise “l’errore” di annullare un gol all’Indipendente Medellin, la squadra dei trafficanti di cocaina.»
La potenza di Tango del calcio di rigore, non sta tanto nella sequenza di cronache che vengono raccontate, ma nella costruzione dello spettacolo in se. A partire dalla ricerca delle informazioni per comporre il testo e i dialoghi, una grandissima quantità di informazioni storiche e sportive che molto spesso sono state nascoste dalla cronaca nazionale. La cura della messa in scena è maniacale, denota l’attenzione fin nel minimo dettaglio. Addirittura le parti cantate hanno avuto uno studio finalizzato ad un risultato ottimale, che amalgama le cinque voci, generando un coro sensazionale.
Tango del calcio di rigore è uno spettacolo molto forte, che mette sotto i riflettori un momento storico culturale mondiale tenuto fin troppo all’oscuro dai media. Uno spettacolo potente e dal ritmo incalzante che arricchisce lo spettatore non solo per le nozioni storiche ma anche per la qualità del teatro messo in scena.