School of Rock – la recensione
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§ La recensione §
Ci sono molte cose che si interrompono a metà e ti lasciano con il dubbio “chissà come…”
Il principio di Archimede termina con un fiato sospeso e la tensione a mille. Atteggiamenti che lasciano lo spettatore incredulo e incerto su quale fosse davvero il finale. Questo perché è proprio lo spettatore che pensa, elabora quello che ha visto, ripensa e poi sceglie il suo finale.
L’obiettivo di Josep Maria Mirò è centrato perfettamente all’interno dell’opera Il Principio di Archimede. Uno spettacolo organizzato in sette scene, con quattro attori, che verte tutto sul dialogo e sulle parole. Non ci sono grandi gestualità da interpretare, non ci sono doti extra da osannare. Conta solo la scelta delle parole utilizzata nella costruzione dei dialoghi. Un peso importante sia per l’autore che le ha scritte, sia per il regista Savelli che ha avuto la responsabilità di tradurle nella nostra lingua.
“Ne sei proprio sicuro?” È il quesito iniziale. Un’altra delle caratteristiche portanti delle opere di Mirò. Nulla viene lasciato al caso, ma lo spettatore viene stimolato attivamente in quello che è lo svolgimento dell’opera. Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi hanno portato a casa un risultato importante. L’interpretazione dei quattro ha avuto un ruolo cruciale nel passaggio delle tematiche allo spettatore finale. Proprio quest’ultimo al termine della rappresentazione si sente rapito e parte della conversazione che si svolge all’interno dello spogliatoio di una piscina. Il fatto non si vede, le conseguenze nemmeno, non ci sono neppure gli indizi per capire quale sia effettivamente la verità . Attraverso i dialoghi tra Anna, la direttrice della piscina, Hector un giovane istruttore e Jordi, l’istruttore estroverso e un pò ribelle, si viene a capire che proprio quest’ultimo viene accusato da un genitore, David, di aver dato un bacio sulle labbra ad uno dei bimbi del corso. Si scatenerà , ovviamente, il finimondo che travolgerà le vite dei quattro protagonisti trascinandoli nel vortice di quello che è oggi la società : un misto di paure e pregiudizi che offuscano quello che è la realtà dei fatti.
Ma la vera realtà qual è? Quella che dice Jordi? Quella che sostiene David? Non viene detto espressamente, ma viene insinuato il dubbio e la situazione rocambolesca prenderà toni molto forti, seguendo un filone di tematiche che popolano i quotidiani della realtà . Pedofilia, spesso confusa con l’omosessualità , un male che esiste da sempre ma che solo negli ultimi anni ha preso una piega preoccupante contaminando la civiltà e i comportamenti nei confronti dei bambini. Se una ventina di anni fa, potevi prendere un bambino per mano e accompagnarlo negli spogliatoi eri considerata una brava ragazza; oggi potresti essere una pedofila serial killer che vuole fare del male a piccole creature. Il punto è anche come gli altri vedono la verità dei fatti. L’esercizio di comprensione che fa Mirò con le sue opere è un tornare a sviluppare quel senso critico e quella ricerca della verità che oggi sembra appartenere solo ai film gialli/thriller, elemento che non manca nelle opere dell’autore catalano. Oggi siamo abituati a costruire una verità dei fatti basandoci su quelle piccole frazioni di informazioni colte qua e là da un titolo di giornale o da un frame in radio. La tecnica di Mirò è quella di portare lo spettatore ad incuriosirsi per quello che vede, approfondendo la ricerca della verità mosso dalla curiosità di avere un finale che chiuda la storia.
Il principio di Archimede è un teatro che non risponde ai canoni classici, retroborghesi per usare una definizione di Mirò, in cui viene servito allo spettatore un pacchetto completo e confezionato. Il teatro di Mirò è alla ricerca del confronto e della discussione nel pubblico e il principio di Archimede rispetta perfettamente queste caratteristiche.