
Giorgio MontaniniÂ
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9 Marzo 2019School of Rock
§ La recensione §
School of Rock arriva in Italia. E anche nelle famiglie.
È curioso come il musical che Andrew Lloyd Webber ha tratto dal film di Richard Linklater (2003), prodotto di Massimo Romeo Piparo e della Peep Entertainment nella penisola tricolore, abbia trovato questa chiave interpretativa che coinvolge più le famiglie che altro. Sarà che per gli italiani l’argomento famiglia è intoccabile, sarà che effettivamente vedere famiglie nella platea rincuora e fa ben sperare per l’approccio delle prossime generazioni al teatro.
IL CAST TEEN – Nonostante sul palco ci sia un cast che batte numericamente anche la storica macchina organizzativa di “Aggiungi un posto a tavola”, i veri protagonisti di questo musical sono i ragazzi. School of Rock è una bellissima vetrina per 20 adolescenti che si alternano formando la classe di Lillo e la band che poi andrà a partecipare alla “gara delle band”. Mossa tattica e strategica è anche quella di posizionare in bella vista la band professionista – composta da Emanuele Friello alla direzione e prima tastiera, Feliciano Zacchia alla seconda tastiera, Bruno Marinucci alla prima chitarra, Giovanni Di Caprio alla seconda chitarra, Guerino Rondolone al basso e Valerio Lucantoni alla batteria – in modo da far comprendere meglio al pubblico i momenti in cui sono davvero i ragazzi a suonare la musica rock. Per chi è nell’ambiente e del mestiere è facile individuare e capire i talenti che sono saliti sul palco. School of Rock è stata l’iniziazione per qualcuno di questi giovani accademici che promettono più che bene. Bravissimi a tenere il palco sotto tutti i punti di vista, proprio come il film ha viziato intere generazioni, ballando cantando suonando recitando. Fanno davvero tutto. Spesso mettono in ombra persino Lillo stesso, nei panni del protagonista rocchettaro Dewey Finn o anche sotto le spoglie del professor Ned Schneebly. In confronto alla classe, il protagonista impallidisce e ogni tanto sembra anche essere in difficoltà , ma si riprende alla grande nei momenti in cui tira fuori la verve che a cui tutti siamo abituati.
Il CAST – Se da una parte abbiamo una banda scatenata, inizializzata sotto il segno di Led Zeppelin, Deep Purple, Metalicca e compagnia bella, dall’altra abbiamo un fitto corpo insegnati, per necessità trasformato nel gruppo di genitori, che lascia a bocca aperta con le interpretazioni canore. L’insieme di voci dà vita ad un coro angelico proprio di quei collegi di una volta dove si ascoltava musica da camera. Protagonista indiscussa è indubbiamente la Preside Rosalie Mullins, ovvero Vera Dragone, un vero talento e un’ugola da far invidia tanto che nei saluti finali roccheggia mischiando vocalizzi lirici su basi rock – un classico nell’ambiente pelle e pizzi. Bellissima nella sua figura, raggiunge il massimo quando spoglia il suo personaggio delle sovrastrutture sociali, lasciando a bocca aperta anche Lillo, tirando fuori la vera se stessa. È così che, sulle note di “Che fine ho fatto, come ho fatto ad annullarsi così?“, denuncia una delle tematiche portanti del musical: crescere non vuol dire sempre uniformarsi alla massa solo perché così è imposto.
LE TEMATICHE – School of Rock è divertente, simpatico, a tratti coinvolgente, forse un pelino troppo lungo. Un musical che coniuga la musica e il mondo adolescenziale, che sottolinea l’importanza di essere una band ma soprattutto essere un gruppo. Nessuno escluso. “Mille cose direi se solo mi ascoltassi, capirei che ci sei se solo mi ascoltassi.” Recita una delle tante canzoni eseguite dai ragazzi dell’Accademia Sistina. Rispettando i messaggi canonici della pellicola e della storia originale di School of Rock, è stata data molta importanza a questa tematica: spesso i bambini non vengono ascoltati dai propri genitori, trovando in persone esterne, a scuola o in palestra, un orecchio disponibile. Questo è il primo aspetto che viene accolto dal pubblico con un caloroso applauso. Anche qui emerge lo scopo primario del rock: generare confronto, tirare fuori la rabbia repressa ed incanalarla nella maniera corretta. “Se volete essere rock dovete ribellarsi al re. Sei tu il re!” Il claim è chiarp e la canzone è quella che infiamma tutta la platea. Alla Horace Green si mostra davvero che cosa dovrebbe essere la scuola: aggregazione, rispetto verso chi ti sta vicino, valorizzare se stessi e dare voce al proprio io rispettando sempre il prossimo. Non solo, ma si impara anche a imporsi nella maniera corretta, soprattutto in famiglia, perché a volte i genitori vanno messi davanti al fatto compiuto.
Dopo le anteprime da esaurimento posti e una première da sold out, seppure con qualche nota dolente come le scenografie dai pannelli troppo tecnologizzati, School of Rock porta a casa un successo. Si conferma quel tipo di musical che unisce le famiglie e punta il focus su temi che vengono spesso dimenticati. Ma soprattutto lascia spazio al talento giovanile perché come dice Lillo, in questo caso Dewey Finn “Sarebbe quel tipo di lezione che non dimenticherebbero mai“.
2 Comments
La capacità di scrivere una recensione va ben oltre le mie potenzialità , quindi mi attacco volentieri a questa con due piccole note personali.
Sono molto soddisfatto della resa della versione italiana e tornerò di sicuro a vederlo a Milano, con in più un cast che allora avrà mesi di esperienza sulle spalle.
Nella versione anglosassone i ragazzini non sono teen, ma conoscendo la realtà italiana penso che già questo sia un successo strepitoso, tanto di cappello per tanto talento sul palco!
Non posso che unirmi alle lodi sperticate per Vera Dragone che per me ormai è La Mullins definitiva, assolutamente perfetta nella parte e bravissima in senso assoluto.
Confesso anche di non riuscire a togliermi dalla mente l’Amazing Grace cantato dalla Tomika di turno che mi ha emozionato tantissimo.
Non concordo sui dubbi sui pannelli luminosi, a mio avviso molto pratici e poco invadenti.
Unica critica, trovo terribile lo sfondo durante “Se solo mi ascoltassi” che sembra fare gli auguri di Pasqua dell’oratorio… Un brano così forte merita uno sfondo più “serio”, secondo me.
per quanto riguarda Vera Dragone, mi trovi pienamente d’accordo: è la Mullins perfetta! La Tomika di cui parli è la piccola Antea Olivieri, 11 anni, strepitosa!
La scenografia è bella, ma i pannelli non mi son piaciuti! Forse è un gusto personale, ma diciamo che a volte invece di dare una mano, pasticciavano la scena. In altri casi invece erano azzeccati!