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La recensione

Mein Kampf Kabarett – la recensione – Sara Colangeli
Mein Kampf Kabarett è uno dei tanti debutti della stagione Fuoriclasse del Teatro Dé Servi. Una storia difficile, particolare, al primo impatto fuorviante, ma in realtà pregna di significati intensi collegati e tutti diversi tra loro. Far uscire il pubblico in lacrime dalla platea è sintomo che il messaggio è arrivato chiaro e forte. La storia, sia quella reale che la narrazione teatrale, arrivano dritte allo spettatore come un cazzotto allo stomaco.
Mein Kampf, è quasi una bestemmia, un titolo spaventoso, parla di storia, di religione, di olocausto, di tante cose diverse. Importanti. Ma alleggerite e impreziosite dal Kabarett, ovvero dalla vena ironica che è anche caratteristica dei tempi dell’ascesa hitleriana in Germania. Fa riflettere. Fa rimuginare a quanto ci siano cose che dipendono dal volere umano e quanto invece sia una macchinazione divina. Con una scenografia d’impatto, che unita a costumi e trucco di tutto rispetto fanno la differenza, Mein Kampf viene raccontato attraverso un testo complesso, con un linguaggio difficile, da studiare indubbiamente prima di vedere la pièce, ricco di riferimenti continui a testi e figure religiose.
C’è da elogiare in primo luogo un cast di attori siciliani di rispetto che spiccano per bravura tecnica e per empatia. Se il testo e l’intento di George Tabori arriva al pubblico è sicuramente merito di: Giovanni Arezzo, Francesco Bernava, Egle Doria, Luca Fiorino, Alice Sgroi, magnificamente diretti dal regista Nicola Alberto Orofino. Una piccola annotazione sul cast va fatta, tutti di provenienza sicula, non si è sentito un intercalare dialettale, sintomo di una dizione perfetta.
Mein Kampf, giovane ventenne, arriva a Vienna con una valigia carica di sogni perché vuole entrare in accademia. Trova rifugio in un ricovero per ebrei, già qui il primo contrasto ironico. Si trova a convivere con Francesco Bernava e Luca Fiorino sono i due ebrei Lobkovitz e Herzl, uno Dio e l’altro l’uomo. Mentre la vita scorre e presenta continue porte in faccia al protagonista, che poi prenderà la strada della politica e inizierà la sua ascesa, subentra la figura della Signora Morte, ovvero Egle Doria, che vuole fare di Hitler il suo fedele aiutante. Alice Sgroi è l’ultima vergine di Vienna, anche lei rappresenta una delle figure importanti e religiose che è la Vergine Maria, il sogno di Herzl una vita di mezzo tra amore puro ed erotismo. Herzl è colui che conduce il gioco delle vite. Il limite arriva anche per lui, perché l’opera dell’uomo arriva fino ad un certo punto, poi tutto passa a forze superiori che possono essere Dio o la morte.

Mein Kampf Kabarett – la recensione – Sara Colangeli
Fra i vari discorsi, Mein Kampf, è anche un campanello d’allarme che fa riflettere su quanto possa essere ciclico il ripetersi degli avvenimenti storici. Non solo, ma evidenzia anche come alcuni aspetti umani siano intramontabili e si rispecchino dannosamente nella società odierna. Tutte quelle smanie di bramosia, il bisogno di essere leader, l’ansia e l’avidità di essere o anche solo di apparire all’interno della scala sociale è deleterio oggi tanto quanto lo fu in varie epoche storiche passate.
Se proprio si vuole trocare una pecca in Mein Kampf Kabarett, probabilmente è da attribuire alla lunghezza dello spettacolo. Ogni scena è importante, inserire una pausa interromperebbe da un lato l’empatia che si crea con il pubblico, dall’altro il ritmo incessante che per quasi due ore riempie il palcoscenico. Ciò non toglie che magari qualcosa potrebbe essere limata per rendere l’insieme più snello e fruibile allo spettatore.
2 Comments
Credi sia di difficile interpretazione se non lo si è letto, ma sei stata brava nella relazione.
Indubbiamente è uno spettacolo di alto livello. Se consideriamo che il testo da cui è tratta la sceneggiatura è complicato di suo, lo spettacolo ha un certo grado di difficoltà . Ma basta leggere le presentazioni, oppure i comunicati stampa per arrivare un minimo preparati! ?