Manca solo Mozart
27 Settembre 2019Tabù 2.0 – La recensione
30 Settembre 2019Neve di Carta
La recensione
Un palco che ricorda tanto una strada d’altri tempi. Una sedia. Una bacinella. Pochissimi oggetti di scena. Necessita davvero poco per raccontare la storia di Neve di Carta. Una storia che lascia riflettere su quanti passi avanti abbia fatto l’umanità per riconoscere la donna. Sicuramente c’è ancora tanto da lavorare, ma almeno oggi una donna esuberante, entusiasta della vita, sterile… non viene rinchiusa dentro ad un manicomio.
Neve di carta è un monologo alternato. Da un lato c’è Gemma che parla della sua esperienza, dei suoi desideri, di come voleva essere trattata, di come si è ingegnata a vivere in una condizione disumana. Dall’altro c’è Bernardino un uomo debole, per niente incline al comando, succube della madre e vergognoso della moglie. I due coronano il sogno di un matrimonio, ma ben presto l’idillio svanisce e lascia il posto all’insicurezza di un uomo inadatto a stare con una donna espansiva e, su consiglio della madre, opta per la soluzione più indolore per tutti: il manicomio. La storia di Gemma e Bernardino è ispirata al libro di Annacarla Valeriano “Ammalò di testa – storie dal manicomio di Teramo“, un luogo dove forse solo una bassissima percentuale era davvero affetta da disturbi mentali e la maggioranza veniva rinchiusa perché scomoda.
L’immagine più bella, ovviamente in senso figurato, di questa rappresentazione che arriva dritta allo stomaco come un pugno, è proprio quella dell’uomo che una volta uscito solo dalla casa degli orrori, tira un respiro di sollievo e si scopre il volto. L’uomo si è liberato di un problema. Ed ora è più libero. Il destino di Gemma è comune a molte donne di quel periodo. Il manicomio veniva usato come strumento per ripulire l’anima, ma da cosa è necessario ripulire l’anima? Questo era il quesito di moltissime donne che abitavano le strutture e non riuscivano a darsi una risposta e vivevano gli orrori di questo mondo alla rovescia.
“non so se scriverti è un dispetto che faccio a te o che faccio a me”
Gemma dialoga con un pezzo di carta. Scrive, scrive tanto al suo Bernardino e spera, lo supplica di tornare a prenderla, perché lei la sta aspettando. “Vieni a prendermi. Lo scrivo e non ci credo più”. Ma in cuor suo è consapevole che le quasi 6mila lettere che ha ipoteticamente mandato al marito, non esaudiranno il suo desiderio. E la potenza della sua disperazione, ben mascherata da una finta allegria e un finto status quo psico emotivo, è portato in scena da una bravissima Elisa Di Eusanio. Bella e potente, domina spesso la scena anche quando a parlare è Andrea Lolli, alias Bernardino. Da un lato l’esuberanza espressa anche con il corpo ma soprattutto con il viso, dall’altro invece la pacatezza e il controllo creano un mix che rievoca tutti gli orrori di un tempo a metà tra le due guerre mondiali.
Un testo, quello scritto da Letizia Russo, che porta in sé moltissime sfumature. A partire dalla carta che Gemma scrive ma che Bernardino si ritrova tra le mani trasportata dal vento. I piedi di Bernardino, che nonostante abbia obbedito al comando della madre di abbandonare la moglie in uno dei luoghi più oscuri del pianeta, prova il desiderio di tornare a riprendersela. La bambina pallida che vede Bernardino, una sorta di fantasma – non si sa con chiarezza se è reale – è un probabile riferimento alla figlia mai avuta (per via della sterilità di Gemma) oppure è l’ingenuità di Gemma stessa sotto forma di fanciulla pura alla quale è stato strappato qualcosa di puro che non potrà più tornare.
Neve di carta è uno di quegli spettacoli che ti gela il respiro lentamente, ti tiene incollata a quelle che sono le vicende dei due coniugi e ai loro tristi destini, fino ad arrivare agli applausi finali che non respiri più e l’unica cosa che ti chiedi è “perché”?
2 Comments
Bellissima recensione.
Grazie! <3