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Al Teatro Quirino la leggerezza scava a fondo e lascia a cuor leggero ma non troppo
La leggerezza non è superficialità, e “Ti ho sposato per allegria” ne è la conferma più lampante. Il celebre testo di Natalia Ginzburg, portato in scena con la regia di Don Ingrassia al Teatro Vittoria, è un piccolo gioiello che brilla di ironia e verità umana, capace di divertire ma anche di interrogare chi guarda, proprio come dovrebbe fare ogni buon teatro.
Lo spettacolo si presenta sin dalle prime battute come un dialogo serrato, quasi senza respiro, in cui ogni frase cela una doppia lettura: il livello più immediato, quello della battuta pungente, dell’ironia che strappa il sorriso; e quello più profondo, che lascia emergere fragilità, solitudini, compromessi e quel senso di disincanto che accompagna la vita di coppia e, più in generale, la condizione umana.
A rendere questo intreccio di significati così vibrante e godibile sono soprattutto loro: gli attori. Il cast si muove con una naturalezza disarmante, facendo sembrare semplici anche i passaggi emotivi più complessi. Le interpretazioni sono il vero punto di forza della messa in scena: ogni battuta, ogni pausa, ogni gesto è misurato al millimetro, capace di rimbalzare tra ironia e malinconia senza mai scivolare nel manierismo. Gli attori reggono con maestria l’intensità di un testo che non concede tregua, e riescono nell’impresa non scontata di far sentire il pubblico parte della scena, quasi come se fosse seduto a pochi centimetri da quel salotto romano dove tutto prende vita.
A rendere ancora più incisivo il lavoro sul palco è una scenografia tanto essenziale quanto simbolicamente ricca. Una menzione speciale merita la grande vetrata che domina la scena: un elemento scenico perfettamente studiato per evocare una Roma stratificata, che si offre agli sguardi da prospettive diverse. La vetrata non è solo un fondale architettonico, ma un vero e proprio filtro attraverso cui si intravede la città eterna, nella sua capacità di contenere sotto lo stesso cielo l’aristocrazia più distaccata e i ceti popolari, le esistenze agiate e quelle precarie, le certezze e le inquietudini. È una Roma che osserva i suoi abitanti, testimone silenziosa dei loro dialoghi e dei loro silenzi.
Altro elemento che contribuisce a dare spessore emotivo allo spettacolo sono gli effetti luce, curati con grande intelligenza e sensibilità. Le luci non si limitano a illuminare la scena, ma accompagnano e guidano lo spettatore in un continuo salto tra realtà e introspezione. Bastano poche variazioni cromatiche o un’ombra sapientemente proiettata per trasformare una conversazione quotidiana in un flusso di pensieri, un racconto in una riflessione, senza che mai si perda il ritmo o la coerenza del racconto scenico.
“Ti ho sposato per allegria” si conferma dunque uno spettacolo capace di parlare al pubblico di oggi con una sorprendente attualità. Sotto la leggerezza apparente si nasconde una riflessione sottile sulle aspettative, sui compromessi e sulla difficile arte di convivere con se stessi e con l’altro. Don Ingrassia, insieme ai suoi attori, riesce a restituire tutta la modernità di un testo che, pur essendo nato negli anni Sessanta, continua a raccontare con precisione chirurgica le dinamiche affettive e sociali di ogni tempo.
Alla fine della rappresentazione si esce dalla sala con il sorriso, ma anche con un piccolo bagaglio di domande in più. E forse è proprio questo il segreto di un buon spettacolo: lasciare lo spettatore allegro, ma non leggero.