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2 Ottobre 2019Una Pasqua diversa dal solito
Inizia così questo post. Parlando di Pasqua.
Vi chiederete “eh ma stiamo a ottobre, stiamo aprendo le zucche di Halloween, tra poco è natale e tu mi parli di pasqua?”
SI. Vi parlo di una pasqua diversa dal solito. Perché non bastava l’anno difficile dal quale stavo arrivando, che era orgogliosamente iniziato con il ginocchio rotto ed era proseguito in quest’ordine: trasloco con ginocchio rotto; riabilitazione; lavoro; blog; il mio ex che mi lascia; licenziamento.
No no! Non bastava! Il 2019 stava per regalarmi la tegola più pesante di tutte!
Arrivate fino in fondo se vi va, ma occhio …anche se cercherò di renderla meno drammatica possibile… il post ha risvolti drammatici!
Immaginatevi il mio venerdì santo. Da brava disoccupata, mi alzo, mi preparo, esco e in ordine avevo:
- Lo show pomeridiano della Pozzolis Family — Se non sapete di cosa sto parlando, vi metto il link qui!
- Lo spettacolo serale di Carlotta Proietti all’Off Off Theatre.
Per poi tornare a casa e lavorare come sempre su video, foto e articoli!
Nell’Off Off Theatre il cellulare non prende e io spesso lo lascio perdere anche con la suoneria. Se non che, durante lo spettacolo serale, inizio a ricevere telefonate a raffica dalla mia famiglia. Succede spesso, specie quando litigano e fanno a gara a chi chiama prima – come sempre nelle migliori famiglie caciarone – Prima la nonna. Poi la sorella. Poi di nuovo la nonna. Mia sorella non fa in tempo a richiamare che, vergognandomi come una disperata – ero anche in seconda fila – spengo immediatamente il cellulare e cerco di ritornare con la mente allo spettacolo. Ve lo dico subito: ho fatto una fatica assurda.
Esco dal teatro, accendo il cellulare e whatsapp non smette più di scaricare messaggi. Tutti dalla mia famiglia. Addirittura da mio padre che è un anti whatsapp. Quindi richiamo e apprendo la notizia: mamma è finita in ospedale, sono tutti lì manco solo io.
Mi dirigo verso il Tor Vergata. Cerco di analizzare la situazione. “Se è come al solito con l’allergia, toccherà stare lì molto. Meglio prepararsi.” Così mi preparo psicologicamente. Pensa, faccio anche benzina, non si sa mai ci sono dei giri improvvisi da fare… Arrivo al pronto soccorso e la scena che mi si apre davanti non è bella. Mia sorella piange. Mio fratello ha gli occhi rossi. Gli amici di mio fratello, anche loro con facce terribili, mi circondano. Entro subito in modalità protezione e attenzione. “Oh, ma che è successo?” Mi dicono di sedermi, ma quando nel mio corpo l’energia si muove a mille, io non riesco a stare seduta. “Mamma è grave, ha un’aneurisma cerebrale dicono che non si sa se supera la notte.” Sbom!
Io non so cosa succede a voi, ma quando a me dicono qualcosa di brutto tutt’intorno si riveste di una pellicola di ovatta che rallenta e filtra le cose in mia direzione. Avverto tutto a rallentatore ed è come se mi dicessero una delle cose più banali del mondo. Anche in quel caso non c’è stata eccezione. Le cose sono arrivate lentamente e più guardavo mio fratelli nei suoi occhi rossi e lacrimosi, più prendevo coscienza della gravità della situazione. Lo step immediatamente successivo è la “modalità protezione“: mia sorella lo sa? Che cosa gli è stato detto? Lei era ignara di tutto perché piccola. Cazzate! A 20 anni sei grande abbastanza da capire una simile gravità. Mi avvicino da lei, la prendo e la calmo. “Non mi state dicendo la verità” continuava ad urlare tra un singhiozzo e l’altro. Appena smette di piangere, grazie a wikipedia, provo a spiegarle cosa sta succedendo a mamma. Poi arriva anche mio padre, i miei sono separati da tanti anni, ma sta li con noi. Tutta la notte.
Arriva un medico che ci dice che fino a domani non possono fare nulla, che mamma è trasferita in terapia intensiva e verrà operata il giorno successivo. Dobbiamo tornare a casa. Nemmeno il tempo di arrivare alle macchine che ci richiamano. Il chirurgo sta rientrando per un’emergenza ed è stata inserita anche mamma come operazione, verrà operata nella notte.
Si fanno le 2, dal pronto soccorso ci spostiamo nella sala d’aspetto di terapia intensiva. Non sappiamo moltissimo. Poi, dopo le 3.45 – ricordo di aver guardato l’orologio o di aver scrollato per la miliardesima volta facebook – escono dalle porte centrali due portantini e un letto e mamma era lì. Immensamente piccola, intubata, dormiva. Se non avessi saputo che in quel momento la sua testa fosse piena di sangue a causa della rottura della carotide interna che aveva causato un aneurisma cerebrale, avrei detto che stava tranquillamente dormendo come al suo solito. In questo momento accade la prima cosa strana di tutta questa immensa storia: provo una sensazione di tranquillità e rilassatezza. Non chiedetemi come o perché, ma il 99.9% delle volte percepisco sensazioni che poi si rivelano vere. E in quel momento io ho visto mia madre e respirato: lei mi stava trasmettendo tranquillità.
Si va in chirurgia interventistica radiologica, piano -1, lei entra in stanza alle 4 e ne uscirà alle 6, in vita, con la carotide ricucita e l’aneurisma clippato. È in stato di coma farmacologico, ma è aggiuntivo a quello che già aveva quando è arrivata in pronto soccorso. “E ora che si fa?” Il chirurgo e il medico di Terapia Intensiva, ci spiegano che ora non resta che aspettare. Il corpo deve drenare il sangue presente nel cervello e curare la polmonite ab ingestis che è subentrata. Ci consigliano di tornare la sera, ad orario di visita della terapia intensiva. Ormai lì non potevamo fare più nulla e non si entra in reparto fuori orario.
Torniamo a casa. Io mi dirigo verso casa di mia madre, dove ho lasciato mia nonna da sola in preda alla paura, dove ho spedito mia sorella perché alle 4.30 ormai non reggeva più e nonna era sola da troppo tempo.
Non sono salita subito. Mi sono fermata al bar, ho preso un thé, ho chiamato l’allora mia migliore amica e abbiamo parlato un pò. Poi sono salita… Mia madre stava imbiancando la cucina… Ve lo posso dire che mi sono messa le mani nei capelli per il casino che c’era? Non ho ben capito molto della situazione, ho solo pensato a fare colazione con le donne rimaste, parlare con mia nonna e trovare le parole più adatte per dirle che la figlia era in coma, senza farle venire un infarto. Ci sono riuscita. Abbiamo fatto colazione e ci siamo dati da fare: casa andava sistemata per quando mamma sarebbe tornata.
La routine ci ha spinto ad andare avanti. A gestire le duecentomilioni di chiamate arrivate da ogni dove d’Italia per avere notizie. Il tutto è successo la sera di venerdì santo. Io sono andata a dormire il sabato sera. 48 ore dopo. C’era troppo da organizzare, il telefono non smetteva di squillare. Fino a che, il sabato sera, mi sono imposta di andare a dormire. Anche se non ci riuscivo. Insieme a Signora Paura, quella gentil donzella che non ci ha abbandonato per mesi… Il pensiero che quel telefono squillasse all’improvviso per la notizia che nessuno di noi avrebbe mai voluto sentire, era il nostro accompagnatore di fiducia. Il cellulare era diventato il prolungamento della mia mano.
Ma state tranquilli…quella telefonata non è mai arrivata! E anche se questa Pasqua aveva un sapore di tristezza e depressione, noi l’abbiamo festeggiata lo stesso. Tutti insieme.
6 Comments
Brava Sara , drammatico racconto vissuto e bellissimo lieto fine nella quale noi abbiam sperato e pregato ❤️
Grazie!
Avevo paura di leggere questo articolo ma l’ho fatto perché mi riguardava troppo: ma nel mio/nostro caso il finale è stato diverso. Anche per me è successo a mamma, a febbraio del 2006: solo che a lei non le avevano fatto veramente nulla. Avevano detto che sarebbero intervenuti se ci fosse stato bisogno e invece l’hanno abbandonata a se stessa, in coma anche lei dopo quattro ore di pronto soccorso (in cui neanche lì le avevano fatto nulla: si erano decisi a fare una tac in testa solo dopo quattro ore che era lì e si lamentava del dolore dietro la nuca – e altri sintomi che non dico perché non belli): a me e mia sorella però, sia papà che mio fratello non avevano detto come stavano le cose in realtà, proprio perché lei piccola e io venivo fuori da altro che ti dico poi.
Incompetenza anche dopo il primo infarto, dopo tre giorni che era lì (in rianimazione non c’era posto per cui l’avevano tenuta in quelle condizioni nel reparto di neurochirurgia, con chi invece era lucido: per dire…), con il medico che era al pronto soccorso, fatto chiamare da mio fratello che era con lei in quel momento: arrivato con comodo e con calma perché “tanto doveva morire” (parole sue, dette a mio fratello quando si era presentato al reparto dopo qualche giorno, per avere spiegazioni di tutto).
A parte questi episodi di malasanità (che ci è stata ufficialmente riconosciuta solo dopo 11 anni), ci sono stati anche due momenti un po’ da pelle d’oca e belli, in un certo senso: poco prima che avesse il primo infarto, c’era mia sorella (che all’epoca aveva 23 anni) con lei. Le ha detto di darle un bacio prima di andare via… Lei gliene ha dati tre (pur essendo in teoria ancora in coma): anche noi siamo tre, per cui lo abbiamo visto come se fosse uno per ognuno di noi.
Durante il funerale, tenuto dai suoi due fratelli, perché li aveva entrambi sacerdoti, mentre zio durante l’omelia parlava della donazione degli organi che avevamo fatto, proprio in quel momento è uscito un raggio di sole (c’era neve) su mamma. Anche questo è stato un segnale particolare: un po’ come ad indicare la vita che rinasce in altre persone, grazie a lei.
Altra cosa in comune con ciò che hai detto di te, oltre al fatto che anche mamma era piccola-piccola in quel letto, è che anche i miei erano separati già da anni (13) e papà era comunque stato al pronto soccorso con lei e mia sorella. Io a casa in attesa, nel caso servisse qualcosa (e tra l’altro, giusto per aggiungere ulteriore incompetenza, dal pronto soccorso la stavano facendo tornare a casa dopo tre ore: poi non so come, hanno pensato alla tac e quindi ricoverata).
Anche io venivo dall’anno precedente in cui, oltre ad essermi laureata (unico evento bello di quel periodo), avevo appena finito con gli ospedali perché avevo curato un linfoma: praticamente non avevo avuto il tempo neanche di respirare che mi è caduta un’altra stessa tegolata come dici anche tu.
E poi in comune c’è anche la fine della storia col mio ex, ma è successo dopo 8 mesi dalla morte di papà, cinque anni fa: quindi diciamo che ho vissuto un po’ di tutto! ? ed ora mi ritrovo a 40 anni (l’anno prossimo) senza essermene resa conto perché ho dovuto vivere sempre in apnea (all’epoca di papà ero stagionale in un hotel, dove vivevo anche, per cui praticamente quasi in mezzo ad una strada).
L’unica cosa che mi auguro per te, proprio perché ci sono passata, è che almeno i tuoi fratelli siano migliori dei miei perché non abbiamo mai avuto un bel rapporto: e vivere queste cose col supporto è tutta un’altra cosa.
Ma ora lei come sta?
Mi dispiace moltissimo leggere queste vicende. Ho pensato molto a come venisse preso questo post, proprio per la malasanità sperando di non urtare persone che come te hanno un vissuto diverso e non a lieto fine. Ti inviterei a leggere gli altri post, perché racconto la sua rinascita e il nostro percorso familiare! Così piano piano, un tassello per volta!Perché in questa storia ci sono dei punti fondamentali che secondo me vanno raccontati. Proprio come tanta gente racconta il proprio tumore o altro.
Ps: lei sta bene! Sta a casa con noi! 😉
PPS: tu invece come stai? Mi dispiace molto leggere le tue disavventure. Va meglio ora?
Sono arrivata alla fine con l’ansia di leggere quello che non volevo leggere, ma per fortuna così non è stato.
Sono felice che le cose siano andate per il meglio.
Capisco bene quando dici che ricevendo una notizia tremenda il tuo corpo si ovatta.
Capita anche a me…sembra quasi che io resti insensibile alle cose e non percepisca la gravità della situazione, ma ho imparato che è solo un meccanismo di difesa del mio cervello.
Ti faccio un grande in bocca al lupo per la tua mamma.
Brava è un meccanismo di difesa! Se segui il blog, prossimamente avrai notizie di mamma! 😉
Grazie per il commento!